
Ieri sera, scorrendo i canali della Tv (scusate, facendo zapping, così è più chiaro) ho incrociato l’intervista di Elly Schlein con Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. L’ho seguita volentieri, al punto che oggi ne ho guardato la parte iniziale, che ieri avevo perso, su Rai Play: https://www.raiplay.it/video/2023/03/La-neo-Segretaria-del-PD-Elly-Schlein—Che-Tempo-Che-Fa-05032023-4f287b1b-3469-4d14-a490-c8e1ae58571c.html
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L’impressione generale è abbastanza buona, per vari motivi. Vediamo quali.
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Intanto si chiama “segretaria”, e questo la rende una valida alternativa al presidento fascisto Giorgio Melono. Non è un’innovazione lessicale, questa, ma piuttosto la presa d’atto dell’esistenza di un’antica convenzione, lessicale appunto, che, per motivi ideologici, non si voleva applicare. Le donne sono donne, insomma, e meno male. Non è produttivo negare che lo siano.
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Sempre sul piano lessicale, bisogna dire che, probabilmente grazie agli studi nelle scuole pubbliche svizzere, la nostra segretaria conosce la geometria e sa, perciò, che il “centro” è uno. Così non cade nell’errore di definire centro-destra la destra attuale, che è una destra estremista e fascista non meno di quella del ventennio.
Quanto al centro-sinistra, d’altra parte, Schlein non ne parla, lascia l’argomento sospeso. Forse, e giustamente, attende di vedere come si collocherà davvero questo Pd che si spera rinasca dalle ceneri dell’incendio innescato a suo tempo dal piromane Matteo Renzi.
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In ogni caso, Elly lascia intuire quale sia, nel suo pensiero, la collocazione futura del Pd, in primo luogo non citando il piromane sabotatore nelle sue risposte a Fazio (che pure ne aveva fatto il nome), ma nominando invece Carlo Calenda. Con lui, con Giuseppe Conte, con il sindacato e con “la sinistra” sono possibili iniziative comuni.
Possibile perciò che il Pd torni a essere “centro-sinistra”, ma senza la confusione che derivava dalla pretesa moltiplicazione dei centri. Schlein riconosce infatti come culture del Pd quella “della sinistra” e quella “cattolico-democratica” e cita, a proposito della scuola, il cattolico (ma icona della sinistra italiana) don Lorenzo Milani.
Irrinunciabili sono, per lei, la scuola pubblica e la sanità pubblica.
Il Pd della segretaria Schlein, inoltre, vuole rappresentare “l’Italia che fa più fatica”.
Una scelta di classe, si potrebbe dire, ma evidentemente la parola “classe” non è agibile, in regime di capitalismo imperante e incontrastato; è più difficile, oggi, dire “classe” che dire “segretaria”. Peccato, anche perché la coscienza di classe non si forma senza che la classe abbia un nome, e anche perché senza coscienza di classe “quelli che fanno più fatica” non possono rinvigorirsi.
Coerentemente con questa sua scelta di campo (forse “campo” si può dire, si usa anche nel calcio), il Pd promuoverà l’unità delle opposizioni sulla questione del salario minimo. E si adopererà nella difesa e nella riaffermazione del principio costituzionale della progressività del prelievo fiscale secondo il reddito, come si impegnerà contro l’autonomia differenziata che il ministro (sic!) Roberto Calderoli vuole imporre al Paese, che comporterà un ulteriore impoverimento delle regioni meridionali.
Sulla guerra che l’Italia e l’Europa, alleate degli Usa, stanno combattendo contro la Russia non ci sono novità, ma almeno c’è l’impegno a lavorare per una “conferenza multilaterale di pace”, per creare una “prospettiva di pace”.
Poi la segretaria Pd ci ha illustrato alcune prospettive eco-economiche, su cui mi trovo d’accordo da molto tempo: l’economia circolare e il risparmio energetico non sono solo ottime scelte ecologiche, ma anche occasioni di crescita economica; inoltre una legge per impedire che in Italia ci sia un ulteriore consumo di suolo è una priorità assoluta, come lo è la prevenzione del dissesto idrogeologico.
Insomma, un buon programma, nel complesso, a parte la contraddizione tra l’essere alleati, e finanziatori e sobillatori (non parlo della segretaria, ma dell’Italia in generale), in una guerra capitalistica tra Paesi capitalisti (la Russia neocapitalista da una parte e l’Ucraina al servizio degli Usa dall’altra) e l’essere pacifisti e considerare la pace come bene supremo.
Ma si cade in contraddizioni del genere quando c’è un difetto di analisi. Se si ignora l’esistenza del fenomeno capitalismo, che tra l’altro è stato ormai riconosciuto dallo stesso Papa (si veda il Discorso del Santo Padre Francesco al Consiglio per un Capitalismo Inclusivo, 11 novembre 2019 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191111_consiglio-capitalismo-inclusivo.html ), non si può coglierne le implicazioni. Così un programma politico che non parte da un’analisi della realtà, anche se pensato in buona fede, può ridursi a un insieme velleitario di buone intenzioni, basate su buoni sentimenti. Velleitario perché non si sarà attrezzati per riconoscere e superare le contraddizioni che si incontreranno sul percorso.
E, in un’intervista di quasi mezz’ora, la parola “capitalismo”, come la parola “classe”, Elly Schlein non l’ha pronunciata.
Ora, io non pretendo, anche se mi piacerebbe, che il Pd avesse in mente, almeno come prospettiva, la Rivoluzione, ma anche una politica di “riduzione del danno” non puoi promuoverla, se non sai che cosa sia che provoca il danno.
Ricordate la “riduzione del danno”? Non se ne parla più, anche se l’eroina è di nuovo in auge tra i giovanissimi. Di eroina, come di capitalismo, si muore, perciò gli esperti si proposero, tra gli anni ’80 e i ’90, di ridurre il danno con iniziative come la distribuzione gratuita di siringhe sterili, la raccolta in condizioni igieniche delle siringhe usate, veicolo di trasmissione dell’aids, l’istituzione (questo non in Italia) di luoghi sicuri in cui drogarsi, o la somministrazione di metadone o di altri farmaci sostitutivi dell’eroina.
Gli esperti conoscevano bene il fenomeno della dipendenza da eroina, così per lo Stato, con una decisione ponderata, all’impegno per guarire i giovani dalla dipendenza si affiancò l’impegno per salvare tante vite, anche se questo significava per forza di cose un minore contrasto al mercato di morte curato dalla mafia. Riduzione del danno, perciò, anche nei confronti della criminalità.
È una scelta rispettabile, che è poi la stessa di tutti i giorni per tanti cittadini non organizzati: non posso combattere la mafia capitalistica, perciò cerco di limitare il danno. Ma è una scelta che consegue a un’analisi del fenomeno. Il capitalismo c’è e ha determinate caratteristiche; per sopravvivere posso provare a galleggiare seguendo la corrente e pensando solo a me e alla mia famiglia, o posso organizzarmi con altri in partiti riformisti, posso aderire al movimento sindacale…
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Mi sono distratto? Di che cosa ho parlato, di mafia o di capitalismo?
Scusate, ma è lo stesso, perché mafia e capitalismo si basano sugli stessi principi.
Uno su tutti e che li riassume tutti: lo sfruttamento. Sfruttamento delle persone (fino alla schiavitù, fino alla morte in mare) come del Pianeta.
Da questo principio consegue che sia lecita o legittima o tacitamente permessa ogni attività che comporti l’abuso sulle persone a fini di guadagno.
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Così accade per esempio che io, che quando non ho impegni potrei dormire senza orari, ogni mattina sia svegliato, come questa mattina, da qualche truffatore o imbonitore telefonico che abusa del mio numero, del mio tempo e della mia libertà. Sembra proprio che siano liberi di farlo.
Così, nell’illusione della libertà capitalistica, sono ogni giorno prigioniero, in balìa di banditi invisibili.
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Il capitalismo è nelle nostre vite, più profondamente di quanto possiamo percepire. Ditelo, per favore, a Elly Schlein. Ditele di non preoccuparsi: se qualcuno la contestasse per aver usato quella parola, potrebbe sempre dire che l’ha usata anche il Papa.
Ditele anche che non è un’operazione saggia riportare indietro di più di un secolo il pensiero politico italiano. Eravamo arrivati al punto, ancora in anni recenti, che perfino i fascisti utilizzavano i concetti e le categorie, le parole del marxismo, perché non potevano farne a meno. Tutta questa cultura è bruciata nell’incendio, come la Biblioteca di Alessandria?